La settimana scorsa gli studenti che stanno sostenendo la maturità sono rimasti sconcertati dalla comparsa fra le prove di italiano di un testo di Giorgio Caproni. Chi è questo Caproni? si sono chiesti molti. Manco era nel programma.
Benedetti ragazzi, ma sarebbe bastato entrare in questo wrog un mese e mezzo fa, quando il volume “Tutte le poesie” di Giorgio Caproni era consigliato come libro della settimana!
Questa collisione tra Giorgio Caproni e la maturità mi ha fatto venir voglia di fare un piccolo gioco: prendere quattro delle sue liriche e suggerire la traccia di un tema (un tema, non l’analisi del testo: alla vecchia maniera, come quando ero sui banchi scolastici). Un tema di maturità, nel senso che i suoi destinatari più naturali sono le persone che si trovano anagraficamente in una fase di età matura. Con la proposta di prendersi quell’ora di libertà per tirare fuori un quaderno e una penna (sì, sarebbe meglio che il pc o lo smartphone) e misurarsi con aspetti di sé sui quali di rado ci si sofferma. Per poi rileggere il testo con cura e solo dopo metterlo in un cassetto (o anche trascriverlo e inviarlo al wrog, perché no?).
Se un difetto ha l’esame di maturità è proprio quello. Che si svolge una volta sola.
Devi perseverare
Usare buona pazienza
Ricordalo se vuoi arrivare
Al punto di partenza
Ai giovani oggi viene chiesto di immaginare la propria vita in modo molto diverso da quello delle generazioni precedenti: il trascorrere degli anni non si tradurrà più nel consolidamento di una specifica esperienza ma nel cambiamento di lavori, relazioni, luoghi, mentalità, aspirazioni. Al di là del dato sociologico, tuttavia, ritieni davvero che mai la vita si possa descrivere coma una linea retta che conduce da un punto di partenza a uno di arrivo? Non pensi che i modelli di vita più diffusi prevedano una sterile circolarità (nella quale il punto di partenza in fondo non è mai stato abbandonato) e in alternativa, sotto la crosta dell’apparente immutato, il mutamento sottile e profondo che esclude la stessa esistenza di un punto di arrivo? Saresti in grado di indicare e raccontare almeno tre punti di partenza della tua vita che non avresti pensato di raggiungere?
Com’è alto il dolore.
L’amore com’è bestia.
Vuoto della parole
che scavano nel vuoto vuoti
monumenti di vuoto. Vuoto
del grano che già raggiunse
(nel sole) l’altezza del cuore.
La sfida di definire le esperienze del dolore e dell’amore con un aggettivo risulta sempre perdente. Dopo che le abbiamo pronunciate, le parole rimbalzano nel vuoto e se ne avverte solo un eco che si spegne lontano. Ricordi qualche esperienza in cui il linguaggio è riuscito ad addomesticare il dolore o catturare l’estasi amorosa? Credi che almeno la poesia abbia questa qualità? In fondo i versi di Caproni, nonostante l’apparente auto-denuncia di insensatezza e vacuità, l’uso ostentato della ripetizione e di vocaboli triti, sembrano purificare lo spazio e riempire quel vuoto di cui suscitano l’orrore.
Sono tornato là
dove non ero mai stato.
Nulla, da come non fu, è mutato.
Sul tavolo (sull’incerato
a quadretti) ammezzato
ho ritrovato il bicchiere
mai riempito. Tutto è ancora
rimasto quale mai
l’avevo lasciato.
Prima che un attraversamento dello spazio il viaggio è uno spaesamento interiore dell’uomo che ruota intorno al tempo. I luoghi che abbiamo raggiunto con la fantasia, i bivi dove abbiamo deciso di sacrificare uno dei percorsi possibili, i momenti che la memoria ha trasfigurato sino al punto da farci dubitare di averli vissuti: le esperienze sensibili sono una parte modesta della nostra esistenza. Anche quando ci pare di essere presenti a noi stessi si installa nella mente qualche viaggio last minute che ci rende doppi. E ci sono poi terre che abbiamo calpestato tanto tempo fa ma non abbiamo mai veramente abbandonato. Prova a organizzare nella tua mente e poi a descrivere l’immaginario tour dentro quei luoghi dove “tutto è rimasto quale mai l’avevi lasciato”, e spiega quale tipo di ferita ti provoca ritrovare il bicchiere mai riempito.
Il mare brucia le maschere
le incendia il fuoco del sale.
Uomini pieni di maschere
avvampano sul litorale.
Tu sola potrai resistere
nel rogo del Carnevale.
Tu sola che senza maschere
nascondi l’arte di esistere.
Gli elementi vitali dell’acqua e del fuoco, in questa poesia di Caproni, rinunciano alla loro opposizione e stringono un patto implacabile per annientare la falsità e l’ipocrisia degli uomini. Si salva qui solo una donna che non ha bisogno di mascherarsi per praticare (ma anche nascondere) l’arte di esistere. Prova a interrogarti: l’arte di vivere in mezzo agli altri comporta necessariamente che si indossino continuamente delle maschere, come parrebbero imporre i rituali di interazione e l’insicurezza del Sé? In quale occasione, più di ogni altra, ricordi che il rogo di una tua maschera è divampato, all’inizio fuori dal tuo controllo e forse dalla tua consapevolezza, e ne hai infine provato una sensazione inebriante?
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