Mettiamolo in chiaro dall’inizio. In Turbine non ci sono commissari, e nemmeno misteri da svelare. Sì, per qualche pagina c’è quel che sembra un rapimento e sullo sfondo un’antica morte mai chiarita, ma nell’insieme sono episodi marginali, che servono solo a definire meglio alcuni personaggi. In Turbine non ci sono scene di sesso, e neanche d’amore. A dirla tutta, poi, il libro è segnato da una visione profondamente negativa della natura umana, che qualcuno potrà giudicare eccessiva.
Sarei tentato di dire che il paese tedesco che viene descritto da Juli Zeh potrebbe essere l’isola del Signore delle mosche di William Golding se quei bambini fossero cresciuti e avessero appreso a comportarsi in modo più urbano, senza però troppo modificare l’indole. E, per completare, la scrittura di Juli Zeh è sì straordinariamente fluida ma è una trappola e richiede attenzione per come srotola velocemente i pensieri (turbinosi) dei personaggi. Dovevo per onestà fare questo preambolo prima di dire che nonostante tutto questo (e anche grazie a tutto questo) è il romanzo tra quelli usciti nel 2018 che più vale la pena di leggere, è letteratura allo stadio sommo, è un libro di denso impegno morale. È stato un successone nella patria Germania, mentre in Italia, dove è stato pubblicato da Fazi con la traduzione di Roberta Gado e Riccardo Cravero, c’è stata una strana congiura del silenzio (d’altronde non ci sono commissari, non c’è sesso ecc.).
Credo che un pessimo modo di scrivere di un romanzo con molti personaggi sia tentare di riassumerne sbrigativamente la trama e fare l’appello dei protagonisti affannandosi ad appiccicare etichette addosso a ciascuno di loro. Cerchiamo dunque di focalizzarci in primo luogo sull’ambiente: Unterleuten, paesino di campagna poco distante da Berlino, ex repubblica tedesca, un paio di coppie recentemente trasferitesi dalla città che non legano del tutto con i locali, vecchie ruggini e sostanziale distacco umano tra gli abitanti che lo rendono più un raggruppamento poderale che un nucleo comunitario, passaggio sofferto nel e dal comunismo. Tanto magma sotterraneo, proprio dei luoghi piccoli e appartati, produce un’apparente stasi ma a smuoverla arrivano le pale eoliche, le turbine, o meglio il progetto di impiantarle. All’inizio nessuno le vuole, perché deturpano il passaggio e perché tanti ne hanno qualche danno nel piccolo cortile. Ma siccome il land ha deciso che devono essere installate, e al comune rimane da deliberare giusto sul luogo, alla fine a volerle sono più di uno, perché la cessione del terreno risulterebbe un affarone. In mezzo a questo intrallazzo affaristico si dipana una notevole commedia umana.
I 62 capitoli, distribuiti in 600 pagine, sono tutti intestati a un personaggio. Il racconto procede in terza persona ma sarebbe un errore attribuirlo a un narratore onnisciente: è un discorso indiretto, e ogni volta viene messo in luce il punto di vista interno del personaggio cui è dedicato il titolo.
La tecnica, che Juli Zeh impiega magistralmente, serve alla sua chiave antropologica, per la quale gli esseri umani sono quel che pensano di essere, quasi sempre erroneamente; e i drammi, quelli minuti e quotidiani e quelli radicali e distruttivi, originano dalla frizione di quel che gli altri invece pensano che loro siano. Turbine è la tragedia della reciproca, profonda incomprensione. E d’altronde, quando qualcuno trova nei fatti la prova che il suo compagno o il suo antagonista è diverso da come pensava, la frattura che ne deriva è ancora più lacerante, al punto che chi era certo di essere stato tradito si offende a morte se apprende che il tradimento non si era consumato, vivendo questo cambiamento di prospettiva come un cambiamento della sua stessa identità. L’umanità è invischiata senza speranze in una rete di relazioni torbide e viziate.
Per riflettere questo stato di cose Juli Zeh ricorre anche alla ripetizione della stessa vicenda, rivisitata dall’angolazione diversa dei personaggi. Pur essendo rigorosamente realista, quindi, il romanzo è squisitamente anti-oggettivo: il realismo, in altre parole, è la somma di tante prospettive parziali, e non sapremo mai se è reale sino in fondo. La descrizione fisica dei personaggi non è mai esposta con gli occhi di un narratore e di rado con quella dell’interessato, è quella che sommariamente e per pregiudizio ne offrono gli altri. Ci sembra di fotografarli ma non ci stupiremmo se incontrandoli per strada dovessimo ammettere che ce li immaginavamo diversi. I tratti fisionomici, sulla scia di quelli caratteriali, seguono la sorte che una delle protagoniste attribuisce al trucco: non serve ancora se si è giovani e non serve più se si è vecchi. Tutto sta nello sguardo di chi osserva. Rispetto al pensiero di un’altra donna che, attraverso il narratore, ammette di “non sopportare le emozioni, soprattutto quelle degli altri” i lettori hanno il privilegio di entrare in empatia con le anime dannate di Turbine e con il loro inevitabile fallimento esistenziale.
Turbine è anche un romanzo sociale, e suona come critica dell’ecologismo quale tomba della politica, che si tratti di rimuoverla impegnandosi nella difesa di una specie ornitologica o di attivarla mediante l’energia pulita (due obiettivi che del resto entreranno in conflitto). Dà conto della rabbia antipolitica senza citare un solo dirigente politico, vero o inventato. Si potrebbe pensare che la quiete della comunità sia incrinata dall’irrompere degli interessi che si muovono dai centri urbani: ma l’individualismo moralmente corrotto annidato nella piccola Unterleuten è già solido senza bisogno di rinforzi. Ha ragione il propagandista delle pale eoliche a rilevare sin da principio che “il guadagno maggiore si ottiene se tutti ricevono ciò che desiderano”.
La soddisfazione del sindaco del paese era stata la realizzazione di un unico progetto condotto a termine, la costruzione di un impianto idrico che emancipasse Unterleuten. Che nel dramma conclusivo, magnificamente sviscerato, venga contaminata quell’unica conquista è una nemesi senza catarsi.
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