Psicologia della punteggiatura/2. La virgola

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Qualcuno sostiene che si tratti di un segno femminile: una governante della casa grammaticale, che si occupa del ménage e si sobbarca pure il disbrigo dell’emergenza, sempre con discrezione e senza fanfaronate. Più prosaicamente, in una discussione accademica americana nata dalla proposta semi-abolizionista di un docente della Columbia University, John McWhorter, si è concluso che è analoga alla senape e al ketchup. Cioè, la virgola, se premi il tubetto e la spargi sulle frasi rendi tutto piacevolmente condito. Ma se non c’è, l’hamburger lo mangi lo stesso.

Anche se ultimamente nemmeno al ketchup e alla senape si negano qualità anticancerogene (per lo più inversamente proporzionali all’essenzialità dei cibi), una certa diffidenza verso quei serpentelli cremosi rende il paragone insidioso, e suggerisce che in realtà il pianeta comunicativo sarebbe più ecologico e sostenibile se fosse sgravato di quella curva microbica.

Un certo molesto affastellume, è innegabile, appesantisce il testo (D’Annunzio piccava: “Costrutto troppo virgolettato, costrutto molto bacato”), ed è vizio diffuso nei contorsionismi della saggistica scientifica. Ma in letteratura le ragioni della virgola vantano illustri difensori. Manzoni fu un convinto antesignano di quegli scrittori novecenteschi che gettano becchime ai sintagmi plananti sulle righe. E nota è l’affermazione di Leopardi: “Io per me, sapendo che la chiarezza è il primo debito dello scrittore, non ho mai lodata l’avarizia dei segni, e vedo che spesse volte una sola virgola ben messa, dà luce a tutto il periodo” (e si noti nell’ultima frase la virgola frapposta fra soggetto e verbo, in ulteriore e uterina rivendicazione la virgola è mia e la gestisco io).

 

Come per il punto, il superstizioso equivoco alla radice dell’uso è che la virgola marchi una pausa di respiro, e piloti dunque una pedissequa imitazione ritmica del parlato (in inglese ci sono parecchi esempi che smentiscono la credenza).

Un cospicuo filone di pensiero riconduce piuttosto la dignità della virgola nella funzione di disambiguazione, e mostra come un banale spostamento conduca a esiti letali. Nel citato dibattito americano si ricordava come “Let’s eat Grandma” (Mangiamo la nonna) apra la strada a un pernicioso equivoco se sostituisce “Let’s eat, Grandma” (Mangiamo, nonna). Ma di solito in questi casi eclatanti è il contesto che orienta all’azione i parlanti. In una tribù di cannibali, pure con la virgola ad apparente tutela della nonna, chi si approssima al pasto, subito dopo la lettura di questo testo, per prima cosa prende il protettore gastrico (se era contenuto nel bagaglio dei missionari digeriti qualche mese prima). In una bifamiliare del Wisconsin è improbabile che l’amputazione ortografica porti i nipoti a riflettere: “Beh, interessante. Non l’avevo mai vista sotto questo profilo”. È sotto un certo grado di rilevanza sociale che la dislocazione della virgola, o la sua eliminazione, determinano un fraintendimento.

Per inquadrare meglio la funzione della virgola riepiloghiamo velocemente i casi principali in cui sarebbe imposta d’ufficio: negli elenchi, a separazione degli elementi singoli (ma dipende dalla grafica: quando si va a capo la regola non vale); nell’asindeto, cioè per coordinare proposizioni senza il congiuntivo (scrivi la domanda, presentala all’ufficio invece di scrivi la domanda e presentala all’ufficio); per dividere le proposizioni subordinate dalla principale; per isolare un inciso o una qualunque apposizione (es. la virgola, dal mio punto di vista, qui dovresti metterla); con le vocazioni e interiezioni (Oh, ma sei impazzito?).

In molti di questi casi, innegabilmente, la comprensione regge anche alla deviazione dall’ortodossia grammaticale, ledendo al massimo il purismo estetico. E anzi, certe violazioni della norma, innocue in quanto plateali, possono suscitare un effetto vibrante e passionale, come hanno scoperto narratori che l’hanno esclusa all’interno di un elenco (e altri ancora, su tutti Saramago, ne hanno fatto il cardine di libri interi).

Più problematico è districarsi all’interno di periodi complessi, ma nella prassi comune la difficoltà viene, ahinoi, potata alla radice, eliminando le subordinate, e con esse il livello intellettivo che solo le subordinate esprimono al massimo grado. Un buon compromesso per non rinunciare né al messaggio né all’attenzione del lettore è usare qualche volta in più le parentesi al posto della virgola che introdurrebbe la subordinata.

 

Una funzione notevole della virgola consiste nell’eliminare l’ambiguità quando è incerta l’attribuzione di un predicato o di una relativa. Se scrivo: siamo a casa della madre di Lucia che è veramente antipatica mi sto riferendo alla madre; se ci metto la virgola (a casa della madre di Lucia, che è veramente antipatica) intendo Lucia. E qui, della libertà di collocare le virgole secondo ispirazione, bisognerebbe dar conto non tanto alla grammatica quanto a Lucia (o alla madre).

 

E tuttavia non si può ridurre la virgola a neutrale strumento di segnaletica, come se mai le si concedesse la licenza di commentare. Al contrario, la virgola è un’autorevolissima opinionista, ed è anzi questo il suo ruolo principale.

Come dicevo, nel riportare la lingua scritta a quella orale si tende ad appiattire il punto e la virgola come pause di respiro. In realtà, quel che dell’oralità la virgola tende a recuperare sono le variegate risorse espressive contenute nel tono e nella gestualità per specificare o modificare il senso letterale delle frasi.

Si scopre così che la virgola, lungi dall’essere quietista e pantofolaia, ha una sua garbata vis polemica e oppositiva. Se scrivo: Ho sistemato la casa mentre tu eri a giocare a pallone sto enunciando una pura circostanza temporale. Ma ho sistemato la casa, mentre tu eri a giocare a pallone sottolinea criticamente il diverso valore delle azioni all’interno dell’economia domestica. Così la frase non ha giocato come tutti si aspettavano rispetto a non ha giocato, come tutti si aspettavano non solo esprime un senso totalmente differente (visto che in un caso il soggetto ha giocato e nell’altro no) ma apre a una distanza critica (verso il giocatore che non si è presentato o verso l’allenatore che non lo ha schierato: dal prosieguo o anche semplicemente dal contesto sarà possibile inferire il completamento della chiosa introdotta dalla virgola).

Intendiamoci, mai la stizza del punto. La virgola dissente e rimarca, però raramente si altera (un po’ come i cani randagi, bisogna guardarsene giusto quando si muove in branco: certi elenchi scanditi da un martellamento di virgole inforcano la via di una ferina aggressività).

È ovvio che il talento opinionistico della virgola nasca dalla sua capacità di spostare il fuoco da un elemento della frase a un altro, anche in segmenti brevi: ad esempio, se prima del ma c’è una virgola è focalizzato l’elemento che la precede. Un esempio di Beatrice Mortara Garavelli (la rima con quel che segue è casuale) è la distinzione tra poveri ma belli e poveri, ma belli. Nel primo caso si evidenzia la bellezza, nel secondo la povertà. Ma, sarà poi vero? (questa mia frase – Ma, sarà poi vero – ha il solo scopo di confermare la regola e al tempo stesso allargarne l’estensione. Qui non ci sono sintagmi separati dalla virgola e dal ma, ci sono soltanto il ma, una virgola e una frase che sta da sola. Se scrivessi ma sarà poi vero? rimetterei ai lettori la risoluzione del dubbio; con la virgola, focalizzando il ma in assenza di un termine che lo preceda, sto focalizzando colui che pronuncia il ma, ovvero me stesso. Sto suggerendo che probabilmente non è vero, dal mio punto di vista).

 

Acclarato che la virgola è un’opinionista, non la si può zittire rimbrottandola: “No, di questo non ti puoi occupare!”. Questo significa che non esistono veramente regole che impongono in modo assoluto alla virgola di non comportarsi in un certo modo. Nemmeno quella che vieta di pinzarla tra il soggetto e il verbo, come dimostra il passo di Leopardi che abbiamo visto all’inizio. Ci deve essere, questo sì, una buona ragione per derogare. E la virgola tra il soggetto e il verbo può avere lo scopo di enfatizzare il soggetto, anche qui non di rado con una venuzza polemica. Se per completare quest’enfasi l’ordine viene invertito, la regola si rovescia e reclama che tra verbo e soggetto si ricorra alla virgola (se ne sta al mare, lei).

 

La virgola, nell’uso, sta conoscendo alterne vicende. Se ne abusa in sequenze che richiederebbero al suo posto un avverbio, una congiunzione o un punto. La si omette spesso nella comunicazione sui social, oltre che per la consueta frettolosità, perché le abbreviazioni e gli emoticon la estromettono naturalmente. Il primo declassamento non è meno grave del secondo perché, messa solo a dividere e mai a sparigliare, si intristisce in una vigilanza burocratica. Privandola del suo potere di opinione priviamo noi stessi di quelle sfumature che dovrebbero colorare pensieri e interazioni. E di molteplici gradi di espressività.

In questo brano di Anna Maria Ortese, tratto da Il mare non bagna Napoli, la scrittrice usa otto virgole di fila, ciascuna carica di una significanza (e di un’emotività) differente, anche quando sembra omologa a quella che la precede:

 

Mentre il ragazzo usciva fischiettando, con l’aria di superiorità che aveva acquistato da alcuni mesi, da quando aveva cominciato a scambiare qualche parola impegnativa con una ragazza, Anastasia si sfilò il mantello di lana blu, che aveva visto tutta quella sua grande gioia, e poi quelle perplessità, quel dolore, e lo distese sul letto.

 

Ecco, cerchiamo di non far fare alla virgola la fine di quel mantello blu.

Di |2020-09-11T15:14:37+01:0021 Settembre 2018|Sulla scrittura|

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