Brancusi

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Quando si è costretti a scegliere un unico episodio per documentare lo straniamento che al senso comune produsse l’avvento delle avanguardie artistiche si è soliti citare il “caso Brancusi”: il grande fotografo Edward Steichen, in arrivo all’aeroporto di New York nel 1926, portava con sé uno degli uccelli scultorei dell’artista romeno, che in quanto opera d’arte avrebbe dovuto essere esentata dal dazio doganale; l’ufficio pretendeva però di riscuotere 40 dollari, considerandolo un comune oggetto artigianale (e che assurdità, soprattutto, la pretesa che raffigurasse un uccello!). Steichen e Duchamp decisero di ricorrere al Tribunale, ovviamente non per i 40 dollari, ottenendo la vittoria in giudizio e il riconoscimento, nella motivazione, che nell’arte dell’epoca il soggetto viene talvolta rappresentato non per somiglianza ma secondo un ideale astratto. Per dire la stessa cosa in modo più semplice, Brancusi stesso, a proposito di un’altra categoria animale rientrante fra le sue serie disse: se pensate a un pesce mica vi vengono in mente le squame, pensate piuttosto alla rapidità con cui guizza.

Questa fu la prospettiva dalla quale Constantin Brancusi, arrivato ventottenne a Parigi dalla natale Romania (quasi interamente a piedi, dice la leggenda), rivoluzionò la scultura: agendo per sottrazione e stilizzazione, sgrezzando la materia per dotarla di tratti riconducibili ad archetipi e universali, senza che ciò si traducesse in freddezza e indistinzione delle opere (al contrario). Si allontanò presto dalla classicità – anche se un contatto con quella greca non lo perse mai del tutto – e le prime opere più significative, risalenti al 1907, rivendicavano piuttosto il legame con Rodin e la conoscenza dell’arte africana, ormai assai in voga nell’ambiente parigino. Il distacco dal maestro coincise con una delle opere più belle e note, Le Baiser, una rappresentazione fusionale e simbolica e fusionale degli amanti, quasi indistinguibili nell’intaglio diretto della pietra.  Nella mostra, in un’unica teca, sono raccolte sei teste di bambino che mostrano lo scivolamento verso l’origine e la stilizzazione (e fungono pertanto sia da paradigma che da metafora di tutta la sua produzione), e decrescono dalla posizione di dolce addormentamento del fanciullo all’uovo.

Si può dire che la carriera di Brancusi conobbe tre fasi corrispondenti a tre diverse attività, con parziali sovrapposizioni. La prima fu quella della scultura in se stessa, affidata alla pietra, al marmo o al bronzo, sopra i quali – secondo le caratteristiche sopra accennate – cercò di cogliere l’essenza delle cose e di regalare un afflato speciale a ciascuna delle opere grazie a una singolare inclinazione aerodinamica, che ne esaltava il movimento (a parte i visi, quasi sempre addormentati, sia per una sua visione trascendente dello stato di sonno sia perché meglio esso si intonava con la riduzione essenziale dei tratti). La seconda fu la costruzione del loro habitat, ovvero l’atelier nel quale lavorava e studiava, nel quale, una volta realizzata l’opera, indagava la sua relazione spaziale con le altre: Brancusi aveva conservato della sua infanzia romena la grande abilità artigianale (pure nella lavorazione del legno) e quel suo atelier divenne l’opera delle opere, oltre che un rinomato luogo di meditazione e intrattenimento intellettuale nel quale, piuttosto che nelle gallerie, preferiva esporre, oltre che conversare con Duchamp, Satie o vari altri artisti amici del milieu parigino. Terza, infine, fu la conservazione e manutenzione di tale habitat, che negli ultimi dieci anni diventò l’unica occupazione, sia pure attiva: continuava per esempio a cambiare gli abbinamenti tra opere e piedistalli (questi ultimi, i così detti gruppi mobili, costituenti opere a loro volta), e se vendeva un pezzo subito lo sostituiva con una copia in gesso per non alterare le proporzioni dell’ambiente. E la volontà che l’atelier gli sopravvivesse lo indusse a donarlo allo stato francese.

La mostra al Pompidou sceglie di adottare un percorso tematico invece che cronologico e la scelta pare azzeccata. Suo ulteriore appeal è di essere composta anche con altro materiale d’archivio, come il bellissimo ritratto che a Brancusi fece Kokoschka, foto, disegni, cortometraggi, oggetti o pezzi della collezione di dischi dell’artista, che amava profondamente la musica e la esplorava nelle sue più varie espressioni, inclusa quella che oggi chiamiamo world music. Raramente, al Pompidou, lo sfondo vetrato della città aveva raggiunto una tale simbiotica congiunzione con le opere come in questo caso con le forme ellittiche degli uccelli di Brancusi, che erano poi una metamorfosi dell’umano e una simbolizzazione dell’ascensione spirituale. Brancusi e una delle sue creazioni si donarono scambievolmente la vita: una quercia di sughero alla quale si aggrappò lo salvò dall’annegamento, e lui la trasmutò in un animale magico, nel quale è riconoscibile (e titolata) la forma idealizzata del coccodrillo.

Brancusi

Centre Pompidou di Parigi

Fino al 1° luglio 2024

Fra i caratteri distintivi dell’umanità vi è la tendenza a evitare la ripetizione, privilegiando l’innovazione creativa e ciò che è differente. A uno sguardo più attento, però, fenomeni e comportamenti ricorsivi risultano prepotentemente insediati nei fondamenti delle nostre vite, e non solo perché rimaniamo incatenati ai vincoli della natura. Come le stagioni e le strutture organiche nell’evoluzione, si ripetono anche i cicli storici e quelli economici, i miti e i riti, le rime in poesia, i meme su Internet e le calunnie in politica. Su concetti e comportamenti reiterati si basano l’apprendimento e la persuasione, ma anche la coazione a ripetere e altre manifestazioni disfunzionali. Con brillante sagacia, Remo Bassetti affronta un concetto finora trascurato, scandagliandolo nei vari campi del sapere, fra antropologia, letteratura e cinema, per dipingere un affresco curioso di grande ispirazione. Da Kierkegaard almachine learning, dai barattoli di Warhol ai serial killer, dai déjà vu fino alla routine, questo libro offre un’analisi profonda della variegata fenomenologia della ripetizione nel mondo moderno, sia nelle forme minacciose e patologiche sia in quelle che invece assicurano conforto, godimento e, persino, libertà.

Quanto siamo ripetitivi

Anche se prevale un tono leggero e una gradevole vena di humor, la documentazione è solida, gli esempi fitti e illuminanti

Corrado Augias, Il Venerdì

Un trattato, mica bruscolini. Il trattato, infatti, tipo quelli di Spinoza o di Wittgenstein, è un’opera di carattere filosofico, scientifico, letterario (...) E così è. Nel suo trattato Bassetti espone il come e perché dell’offesa.

Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore

 

C’è un passo in cui di Bassetti dice che questo è un tema sorprendentemente poco esplorato...Non lo è più da quando c’è questo libro

La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio

 

Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:

  1. Hai detto male di me

  2. Hai violato un confine

  3. Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto

Di |2024-09-20T14:27:46+01:0025 Aprile 2024|Ufficio visti|

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