Ufficio visti
Ci sono diverse ragioni per considerare Bruno Munari una delle figure più eccentriche del Novecento italiano. Forse la migliore è quella improbabile coincidenza tra una scatenata fantasia visionaria e una rigorosa pedanteria progettistica. Una delle sue citazioni, affissa nella bellissimo mostra che gli dedica il Museo Ettore Fico a Torino, recita: “Creatività non vuol dire improvvisazione senza metodo: in questo modo si fa solo della confusione”. E’ deplorevole che la memoria di questo geniale “artista totale” non venga adeguatamente celebrata all’estero, e viene il dubbio che il suo rifiuto dello specialismo e delle ossessioni sia risultato contro tendenza. Ognuno ricorda il “suo” Munari, e ce n’è per tutti i gusti: illustrazioni, design, tele astratte, sculture che anticiparono il concetto di installazione. Personalmente ho una predilezione per le “macchine inutili” e i finti ideogrammi (che, specialista della titolazione, chiamava anche “scritture illeggibili di un popolo sconosciuto”).
Le sue due costanti furono la tendenza a sollecitare più di una dimensione sensoriale e la perpetua cornice ludica. Non a caso il suo occhio fu rivolto sempre ai bambini, con la bella convinzione che farli districare tra quegli incastri dell’assurdo fosse il metodo migliore per incamminarli verso la padronanza del reale.
Mostra Bruno Munari Total Artist
Museo Ettore Fico
Torino
Foto ©bg-Mef-Munari
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