Ufficio Visti
Nessuna foto di una scultura è mai in grado di restituire una percezione vagamente simile a quella dal vivo. Questo vale a maggior ragione per le opere di Charles Ray che hanno due punti cardinali, e fra loro consequenziali: il rapporto che instaurano con lo spazio e lo straniamento dimensionale. Riguardo allo spazio il sessantanovenne artista di Chicago ebbe a dichiarare: “Il primo mezzo di scultura è lo spazio. Non si può dire che la scultura sia appoggiata a terra, il suolo è l’ultimo degli elementi”. La dimensione, sovente incongrua o per gigantismo o miniaturizzazione, va a intaccare il rigoroso realismo della figura. Ray non ha mai escluso che un simile sovversivo gusto per lo squilibrio gli derivi dalla lunga pratica giovanile degli allucinogeni. La realtà non scompare, ma all’interno c’è qualcosa che non torna. Un effetto analogo Ray lo persegue – con materiali che vanno dall’acciaio all’alluminio o alla carta – mettendo in scena personaggi ordinari dei tempi attuali che citano, a volte sino al limite del calco, illustri modelli classici. Del resto egli è un esponente della corrente così detta appropriazionista, la corrente nordamericana che pratica e teorizza la stretta imitazione (più lo straniamento) delle opere precedenti. Inevitabile concluderne che l’oggetto della sua scultura è la scultura stessa, la sua storia e la sua essenza. Sotto ogni sua opera, o persino al posto, ribaltando Magritte si potrebbe scrivere: “Questa è una scultura”.
Charles Ray
Parigi- Bourse e Centre Pompidou
Fino al 6 giugno
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
-
Hai detto male di me
-
Hai violato un confine
-
Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
Scrivi un commento