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Come il latte in polvere per le intolleranze dimostra che il Mercato Unico non esiste

 

Sarà certo vero che un lungo attaccamento al seno giova psicofisicamente al bambino.

Sono anche note le pressioni cui sono sottoposte le madri che, per motivi diversi, non allattano. In ogni caso, se il neonato è intollerante al lattosio, come evitare di ricorrere al latte di soia in polvere, che risponde a questa evenienza?

 

Ho appreso da una coppia di amici di fresca genitorialità una di quelle informazioni che ti fanno pensare: quante situazioni esistono di questo genere, e noi non lo sappiamo?

Torniamo al latte polvere per un neonato allergico alle proteine del latte vaccino o intollerante al lattosio, che i miei amici hanno scoperto avere un prezzo molto elevato: un barattolo di Humana AT1 del peso di 400 gr acquistato in farmacia o on line supera i 30 euro. Non esiste esenzione, non è prescrivibile, poiché è un alimento e non una medicina, è solo detraibile al 19% come alimento “a fini medici speciali”.

A chi è abituato a fare un giro su Internet viene voglia di verificare se si riesce a risparmiare qualcosa, sai mai. Uno dei tentativi è cercare se in Germania lo stesso prodotto costa un briciolo di meno. Humana Italia SpA è una società del gruppo DMK con sede a Milano, dove conta circa 140 collaboratori. Ma il gruppo DMK è uno dei maggiori gruppi internazionali del mercato del latte e dei suoi derivati. La produzione dei latti si svolge esclusivamente nello stabilimento di Herford in Vestfalia.

 

L’informazione, viaggiando su Google, appare difficile da reperire (quasi non fosse indicizzata) fino a che non si entra su Google.de invece che su Google.it. Ed ecco che cercando i prodotti Humana per le intolleranze alimentari ne appare uno con nome e confezione diversa ma quasi identico se si confrontano gli ingredienti e le tabelle nutrizionali, e per giunta di 500 grammi invece che di 400. Costo: 9 euro e 39 (in offerta a 7 euro e 99). Circa cinque volte più al grammo. Come la si voglia girare è un’antipatica operazione speculativa. Nella migliore delle ipotesi un’azienda di marca tedesca rende quasi introvabile dall’Italia un prodotto, equivalente a quello che commercia nel nostro paese, che consente alle famiglie dei bambini tedeschi di sostenere il costo di un grave disagio familiare con un prezzo cinque volte più basso.

 

Gli spunti amari sono parecchi.

Uno è il digital divide: i miei amici che sono abituati a reperire informazioni in Rete hanno bucato il “muro” protettivo accedendo al prodotto, e poi ordinandolo. Una persona che non ha la stessa competenza digitale si tiene il suo latte da circa 80 euro al chilo, invece che 16.

Un altro è l’odiosità di una differenziazione speculativa applicata all’alimento di un bambino con un problema di salute, e relativa a un prodotto che pure non è riconosciuto come propriamente farmaceutico. Una di quelle situazioni che sarebbero gravemente censurata da Robert Sandel (il filosofo autore del volume “Quello che i soldi non possono comprare”).

Un terzo concerne, inevitabilmente, la finzione che talvolta si rivela il mercato comune europeo. Se il costo del prodotto lievitasse da un paese all’altro per l’applicazione di dazi la situazione sarebbe almeno più trasparente (e il costo inferiore, perché dazi del genere non li applicano neppure gli Usa alla Cina).

 

Dall’Istituto Farmacologico di Ricerche Mario Negri, una Onlus di ottima fama, arriva sul tema delle dissimmetrie in questo settore una condanna senza riserve. ““Le differenze nei prezzi dei sostituti del latte materno rimangono una sostanziale e inaccettabile distorsione nell’ambito di una “Comunità” definita “Comune”.

È stato scritto nel 2003.

Di |2020-09-11T15:02:39+01:0029 Marzo 2019|Ufficio visti|

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