Ufficio visti
Le vie dell’arte sono infinite. Uno esprime onestamente la sua vocazione di scultore in Cina quando per ordine dell’autorità buttano giù tutto il quartiere, inclusa la bottega dello scultore. Nell’urbanizzazione selvaggia della Cina capita anche questo e allora che idea balzana viene allo scultore? Si fa dipingere del colore delle macerie, si mimetizza in mezzo a quelle e si fa fotografare come testimone di una simbolica protesta.
E’ il 2005 e Liu Bolin comincia una nuova vita, che lo porta a diventare famoso e ora ospite con le sue opere della Maison de la Photo a Parigi. Rimane che da scultore non è diventato fotografo ma fotografato. La sua cifra stilistica inconfondibile ripete quell’esordio. Si fa dipingere e colorare in modo da apparire perfettamente incastrato all’interno di scenografie che allestisce o che sono già pronte ad attenderlo: in mezzo ai barattoli del supermercato, in macelleria fra le carcasse, in un caveau, in un’edicola, davanti a un cartellone pubblicitario. L’effetto è comico, sensazionale, profondo. In mezzo alla massa, ai cumuli di oggetti, ai simboli del potere e della modernità e in genere tutto ciò che lo sovrasta il singolo resiste in una finta inglobazione. Si affida a piccole crepe nell’invisibilità come mezzo estremo per non scomparire.
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