I bambini in braccio alla madre sono, come soggetto, il lascito più significativo della pittrice americana Mary Cassatt, che il Musée Jacquemart André celebra a Parigi fino al 23 luglio. Perdurano su quelle raffigurazioni due discutibili stereotipi interpretativi: che scaturiscano dalle Madonne con bambino rinascimentali e che esprimano felicemente la psicologia dell’infanzia.
Quanto al primo punto, la freschezza di quei ritratti (dipinti a olio, disegni, incisioni ma specialmente pastelli) è proprio un’emancipazione dal modello classico, che riemerge solo in un paio di occasioni, nelle quali la circolarità dello specchio viene simbolicamente utilizzata quale richiamo dell’aureola.
Sul secondo punto J.K. Huysmans, riferendosi alla Cassatt, proclamava che “solo le donne sanno dipingere l’infanzia, solo le donne possono mettere in posa i bambini e infilare nei vestiti le spille da balia senza pungersi”. E in effetti la Cassatt vestiva, soprattutto le bimbe, secondo un canone che ce le mostrava insopportabilmente vezzose o sopraffatte dal gusto bamboleggiante delle genitrici, e verso ciò la Cassatt non mostrava segno alcuno di insofferenza (non è stato probabilmente senza tagliente ironia che l’amico e maestro Degas, nel decantare le lodi di uno di questi quadri di genere della Cassatt, lo definì “Gesù con la sua governante inglese”). Lo scrittore francese Camille Mauclair la elesse “pittrice d’infanzia” aggiungendo che “dipingere l’adulto è riassumere; dipingere l’infanzia è prevedere”. Ma gli occhioni malinconici, riflessivi e un po’ sperduti delle bimbe della Cassatt sono piuttosto la lente dell’adulto che le proietta nella società. La grandezza di Mary Cassatt fu davvero nella relazione tra la donna e il bambino, che tiene i piedi e l’equilibrio sospesi tra l’esplorazione dell’ambiente e la mamma su cui ancora poggia il mondo: l’artista fu la prima a raffigurare con naturalezza (e un’incomparabile bellezza di forma e colore) quel rapporto. Se uno sforzo introspettivo ci fu, ancor più che sul bambino, esso si concentrò sulla madre, che in ogni dettaglio emergeva quale soggetto consapevole e pieno di etica della cura.
Quest’ultimo termine, appartenente a movimenti femministi assai posteriori a Mary Cassatt, ci introduce all’altro tema che investe la pittrice, la sua inclusione nella storia del femminismo: e certo, se si commettesse l’errore di giudicare la storia secondo parametri attuali, può apparire oggi curioso che tale qualità potesse cumularsi con quella di ritrattista dell’incanto (ma anche incatenamento) materno. La Cassatt fu però una femminista d’azione più che di teoria. È la sua biografia di donna talentuosa, ostinata e autonoma che ne fece un modello per tutte le donne che volessero accostarsi all’arte. La Cassatt nacque in Pennsylvania, da un’agiata famiglia di banchieri, e poi approdò stabilmente a Parigi, ventunenne nel 1865, per perfezionare la propria istruzione artistica ma non potè farlo presso la Scuola di Belle Arti, dato che fino al 1897 non saranno ammesse le donne. Ebbe un mentore e un amico in Edgar Degas, con il quale quasi fondò una rivista di incisioni. Da lui fu indirizzata decisamente verso lo stile impressionistico, che appena contaminò con l’impronta figurativa di Whistler. Insomma fu quel che oggi si definirebbe un buon modello di “fusion” tra l’arte americana e quella francese. E tuttavia quest’ultima divenne prevalente e la qualità del suo impressionismo nulla ebbe da invidiare a quella degli illustri colleghi maschi, che però rimasero un gradino sopra per notorietà: la Cassatt scontava, appunto, di essere americana, donna e anche di prediligere nettamente gli interni a fronte del mainstream del plen air. Alla pittura impressionistica fece un altro regalo a parte le proprie opere: la diffusione dei quadri oltreoceano, che la posizione economica della famiglia, tra le più ricche degli Stati Uniti, contribuì a valorizzare.
Proprio la famiglia, nei primi dieci anni, fu il soggetto ossessivo della sua pittura: anche per questo sguardo artisticamente privato-regressivo e simbolico-universalizzante che ricavò dalla stretta cerchia di persone che aveva intorno si può considerare una delle prime artiste moderne. Poi vennero le madri con i bambini, a partire dal 1881. Poi sopraggiunse l’epoca delle acqueforti che riprendevano il tratto delle stampe giapponesi: maturò un modo suo di coniugare oriente e occidente e rinsaldò la linea secondo un canone più classico. Opere come La Lettre o La Toilette sono di una bellezza abbagliante e raccolgono la sospensione degli attimi dentro l’intimità femminile (quasi vermeeriane nello spirito). Nel 1893 le fu dato incarico per una pittura monumentale sul tema “La femme moderne” all’Esposizione Universale di Chicago, e, finalmente purgata da quella fissazione della moda che sovrabbondava nei ritratti della sorella, lo popolò di donne che compivano gesti semplici nei quali era contenuta l’allegoria del sapere e della sua trasmissione. La cosa più femminista che compì nella sua vita, tutto sommato, rimase però l’ostentato disinteresse verso la figura maschile che, con l’eccezione del fratello, mai giudicò plausibile soggetto pittorico.
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