Ufficio Visti
Non è la millesima mostra mondiale su Picasso e Dora Maar (piccolina e un po’ pretestuosa) la ragione principale per una visita alla rinnovata Pinacoteca Agnelli di Torino. Intanto, vale la pena di godersi il nuovo allestimento della Pista, già pista sul tetto del Lingotto, un tempo atterraggio per elicotteri e ora più alto giardino pensile d’Europa, arricchito con delle nuove e ben selezionate installazioni che dialogano con l’architettura post-industriale e il panorama collinare; poi apprezzare la nuova organizzazione interna del museo. Ma meritevole su tutto è la mostra che inaugura il terzo piano, la più importante e completa retrospettiva in Italia sin qui dedicata all’artista contemporanea svizzera Sylvie Fleury, Turn me on, una geniale giocherellona femminista di formazione mentale dadaista, che ha tra i suoi obiettivi la messa alla berlina del consumismo, dei simboli fallocratici maschili e delle correnti artistiche che ritiene più corrose dal mercantilismo, specialmente la pop art e il minimalismo.
Le opere di Fleury quasi sempre vanno spiegate e sono spiegate molto bene nelle poche righe di curatela: si può discutere se tale caratteristica, così comune per l’arte contemporanea, sia un limite, ma può essere invece l’occasione per comprendere come la contestualizzazione sia un fattore strutturale dell’opera anche quando diventi piuttosto una co-testualizzazione, e cioè: è solo l’enunciazione esplicativa dell’intento artistico, e persino dei suoi mezzi, che rende opere d’arte, oltre se stessa, anche alcuni elementi testuali. In particolare, nella sala Fur Fetish, Silver Screen Survey, la brevissima dattiloscrittura di scene di film hollywoodiani sopra dozzine di fazzoletti: e siccome Fleury ama moltiplicare le piste da seguire, l’uso della macchina da scrivere è una feticizzazione del paradigma “segretaria” e la pelliccia che copre le pareti evoca una sovrapposizione femminilità-animalità, prodotta dal perturbato immaginario maschile.
Quell’immaginario Fleury si propone di piegarlo (una tipica verticalità alla Daniel Buren, prototipo del maschio-bianco-genio, confluente in una gabbia con una sbarra forzata), sfregiarlo (esposizione di scocche di auto rigate in una performance), irriderlo e rovesciarlo mediante appropriazione (navicelle spaziali deturpate dal rosa shocking o materiali abbinati al femminile). C’è una sala (She-Devils on Wheels) che è un variegato e imprevedibile capolavoro di sovversione della sottocultura macho-motoristica: e come ho detto si gode maggiormente con le istruzioni per l’uso. Ma non vorrei offrire l’impressione che Fleury sia un’artista ermetica. Oltre al fatto che il suo disegno complessivo è del tutto trasparente, Fleury è molto divertente, duchampiana, dicevo. Gli oggetti assurdi che si ingegna a inventare, tipo un pistola-asciugapelli o le manette dorate marchiate Gucci e tutta una serie di altre bizzarie sotto teche nella stanza che sfotte il minimalismo – Please, no more of that kind of stuff – sono un vero spasso per chiunque.
Sylvie Fleury
Turn on me
Pinacoteca Agnelli
Fino al 15 gennaio 2023
Corrado Augias, Il Venerdì
Francesca Rigotti, Il Sole 24 ore
La conclusione del conduttore di Fahrenheit – Tommaso Giartosio
Queste sono le tre ragioni per cui ci si offende:
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Hai detto male di me
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Hai violato un confine
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Non ti sei accorto di me come, e quanto, avresti dovuto
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