E’ noto che i quadri degli impressionisti dischiudono le forme figurative da una certa distanza, mentre da vicino rivelano tutto il vigoroso illusionismo della pennellata e del colore. La serie “AK47” di Zhang Dali coinvolge lo spettatore in un’epifania assai più sconvolgente. Quei gentili ritratti in acrilico su tela di vinile che la compongono (copiati da foto formato tessera), alla prossimità di pochi centimetri, eclissano il volto a vantaggio della sigla “AK47”, ripetutamente impressa e corrispondente a un modello di kalaschinikov che il pittore ha scelto nell’occasione quale metafora della violenza: nella varietà dei visi quello sfondo comune penetra e assorbe l’identità individuale, e grida l’annientamento nella massa, il sopruso del potere, lo sradicamento nel vortice dell’urbanizzazione selvaggia. Si può dire che per tutta la vita Zhang Dali ha agito su questi input, esercitando la propria creatività nel modo differente di rappresentarli: a volte con esiti emotivi ed estetici irresistibili, altre rimanendo su un piano più freddo o didascalico, ma sempre con una profonda onestà intellettuale e la radicata convinzione che il ruolo dell’artista (come minimo quello di un artista cinse, oggi) consista nello smascheramento dell’oppressione. Zhang Dali si rifugiò a Bologna, dopo Piazza Tien An Men. Lì ha vissuto per sei anni, lì ritorna, in mostra a Palazzo Fava, in una esauriente retrospettiva, che comprende sculture, foto, tracce della sua street art. La sua prima opera importante fu “Dialogue and demolition”, tra il 1985 e il 1989: tracciò il profilo del suo volto (presso il pubblico a lungo la sua cifra più nota) sopra muri destinati alla demolizione, aprì spazi lungo i suoi contorni per mostrare in quell’insolita finestra i pezzi di di città che dietro stavano per svanire. In un imponente lavoro (The Second History), Zhang Dali propone foto cento provenienti dagli archivi di stato ritoccate, per aggiunta e sottrazione, dal regime maoista in circostanze pubbliche. Quel che scompare è in definitiva lo stimolo espressivo di molti grandi artisti cinesi ( ed è in effetti affrontato secondo un percorso profondamente originale e concettualmente analogo da Liu Bolin, attualmente in mostra a Roma).
Zhang Dali
Meta- Morphosis
Palazzo Fava
Bologna
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