Tra 100 anni qualcuno si offenderà per i vostri murales

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L’incredibile vicenda di censura generazionale a san Francisco e il trigger warning

Questa è una storiella, ahimè vera, che in Italia non mi risulta sia circolata.

A San Francisco è in corso una vibrante discussione sul destino di un dipinto murale di 150 metri coincidenti con il muro di  un liceo. Sta lì dal 1936, commissionato in occasione del New Deal in omaggio a George Washington. Mostra il padre fondatore circondato da schiavi di colore e da alcuni cadaveri, fra i quali quelli di un “nativo”. Ora, siccome traumatizza i discendenti dei nativi, la commissione scolastica- chiamata in causa da una protesta di alcuni attivisti- ha deciso di cancellarlo. La rimozione procede a rilento, perché la questione ha sollevato una levata di scudi.

 

L’aspetto più curioso è che l’opera fu realizzata da Victor Arnautoff, conclamato comunista e difensore delle minoranze, e pittore di ispirazione satirica, che colse al volo l’occasione inattesa della committenza per restituire l’immagine di un Washington meno corrispondente all’agiografia, schiavista e repressore di minoranze. Senza stare a fare tanti discorsi, lasciò al suo murale il compito di offrire un’angolazione critica e problematica del mito fondante americano.

 

Ciononostante, già le Black Panthers presero in uggia il dipinto e proposero di distruggerlo: alla fine si optò per un contro-murale, cioè per la realizzazione di un altro murale, nei dintorni, che ponesse invece positivamente le minoranze al centro della costruzione dello stato.

Il suo autore, Dewey Crumpler, è ora uno dei più accaniti difensori dell’opera di Arnautoff. Se distruggete quella, dice, tanto vale ricoprire anche la mai, visto che il suo unico senso era di far continuare a vivere il murale di Arnautoff. L’aggiustamento in atto parrebbe quello di distruggerlo, sì, ma prima digitalizzarlo. Mi raccomando, però, su una chiavetta USB, nelle mani di una persona fidata.

 

L’episodio fa riaffiorare il tema degli eccessi del politicamente corretto nelle università. In buona parte delle università e delle scuole americane di compiere azioni o pronunciare parole che suonino come “microaggressioni” nei confronti delle minoranze ed evidenzino dunque un atteggiamento discriminatorio. Già chiedere a un asiatico dove è nato è una microaggressione, perché significa dirgli che non è americano. Il trigger warningè un passo ancora oltre, e implica l’avvertenza del professore che certe lezioni possono risultare offensive o traumatiche per gruppi di studenti. Alla Columbia University il trigger warning ha colpito le Metamorfosi di Ovidio per le loro descrizioni esplicite di stupri e violenze.

 

Adesso siamo al salto di qualità. Non ci si limita a stabilire una presunta incompatibilità fra un’opera d’arte o un documento storico e il membro di una comunità ma si delibera che tale incompatibilità vada combattuta rimuovendo l’opera o il documento. Ma quale beneficio riceveranno le minoranze una volta che si saranno rimosse le testimonianze della loro oppressione, pure quelle prodotte da chi quell’oppressione voleva stigmatizzare? La sensibilità individuale può prevalere sull’interesse collettivo alla conservazione della storia? E a cosa servono gli educatori se non a insegnare la distinzione tra un’opera e il suo contesto storico? La fuga dalla memoria e dalle rappresentazioni della crudezza umana è una tutela della vulnerabilità o una dichiarazione di inabilità del soggetto teoricamente tutelato, cullato all’infinito nella sua fragilità e destinato così a perpetuarla? Forse bisognerebbe sospendere le visite scolaresche a Guernica, prima che qualcuno chieda di rimuoverla per apprezzare senza traumi- e senza troppi cartelli d trigger warning– il resto del Museo Reina Sofia.

Di |2020-09-11T15:17:28+01:0020 Settembre 2019|Uncategorized|

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