Siamo in auto ma non conosciamo la strada, così accendiamo il navigatore per raggiungere la meta.
E’ uno degli infiniti esempi che dimostrano quanto la distinzione tra online e offline possa già intendersi superata (è ovvio in effetti che nell’esempio appena fatto stiamo sperimentando congiuntamente entrambe le modalità), sostituita da un’infinita connessione e dalla costante interazione con sistemi di informazione digitale. Esiste un termine elegante per indicare il nuovo mondo in cui abitiamo, e si chiama infosfera: lo ha inventato qualche anno fa il filosofo Luciano Floridi, parafrasando la biosfera, e non ha ancora avuto la diffusione che merita.Non è un’espressione critica, è una mera descrizione che dà conto di come il nostro ambiente sia diventato del tutto imparagonabile a quello che lo ha preceduto e che ha connotato, con modalità strutturali diverse nelle epoche, tutta l’esistenza umana sino alla fine del XX secolo.
L’infosfera risponde a quattro caratteristiche fondamentali, che costituirebbero ciascuna una risposta alla domanda: che cos’è l’infosfera?
Prima risposta (e prima caratteristica): è un ambiente nel quale viene abbattuta la distinzione tra reale e virtuale e nel quale analogico e digitale si fondono e confondono, si intrecciano e si rinforzano vicendevolmente (sempre Floridi ha coniato l’altro neologismo, onlife). Possiamo ipotizzare lunghissime catene di ibridazione: i giocatori delle squadre di calcio vengono copiati digitalmente per il videogioco di Fifa, praticato da gamer che si confrontano in un campionato al quale assistono in rete spettatori i quali poi diffondono su YouTube dei video di commento fintamente giornalistico … E però questi sono estremi che riconducono ai nerd. L’infosfera irrompe anche con l’uso quotidiano di Whatsapp. Se ci ricolleghiamo all’esempio del navigatore satellitare, possiamo dire che è un ambiente in cui non è più tanto esatto dire che “la mappa non è il territorio”.
Seconda risposta/caratteristica (quella considerata fondamentale da Floridi): è un ambiente nel quale operano sia organismi biologici che artefatti ingegnerizzati e il confine tra processore e processato tende a dissolversi nello scopo finale dell’apporto di informazione, al quale tutti gli agenti (viventi e non) sono partecipi. In altre parole, è la convivenza ordinaria di esseri senzienti e algoritmi, dalla quale nessuna forma organizzativa è più esente, e che produce la realizzazione e l’aggiornamento di software, dai quali siamo nutriti e del quale siamo nutrimento.
Terza risposta/caratteristica: è un ambiente nel quale (specialmente con lo sviluppo dell’IA) diventa progressivamente normale che gli strumenti tecnologici se la sbrighino, direttamente tra loro, senza umani tra le scatole. La casa smart o l’Internet delle cose collocano l’uomo al margine, teoricamente ancora terminale iniziale e conclusivo della catena finalistica, ma concretamente costretto, se vuole intervenire – ed è abbastanza attento, motivato e in grado di farlo – a interrompere procedure che automatizzano velocemente risposte meccaniche a degli stimoli. Il caso più eclatante fu il Flash Crash del 2010, quando gli algoritmi deputati alla vendita di titoli azionari in borsa reagirono collettivamente al ribasso dei titoli stessi, innestando una spirale che provocò nel giro di 25 minuti un crollo del nove per cento dell’Indice Dow Jones.
Quarta risposta/caratteristica: nell’ambito dei soggetti umani l’infosfera è un ambiente composto da utenti. Floridi dice che l’utente ha preso il posto dello spettatore, ma pare a me che abbia esautorato l’uomo da ogni altro ruolo, incluso quello di cittadino ( e, oserei dire, anche di uomo sic et simpliciter). La capillarità dell’informatizzazione recluta come utente anche chi mantiene un atteggiamento abbastanza passivo verso le applicazioni della tecnologia. Di contro, gli utenti più entusiasti vengono gratificati di apparenti super-poteri interattivi che ne suscitano velleità di onnip-utenza. La visibilità dell’utente è superiore a quella dell’antico cittadino e ovviamente incomparabile con quella dello spettatore. Sconta tuttavia un duplice problema: quello di essere concorrente con miliardi di altre visibilità di altri utenti (che però in alcune co-utenze agiscono su un piano collaborativo) e specialmente quello del rapporto direttamente proporzionale che intercorre fra il suo apporto di contenuti e la sua gratuita qualità di elemento stabilizzatore dell’infosfera (o più precisamente dell’attuazione dell’infosfera secondo le modalità che sono state studiate dal potere che oggi domina l’infosfera). Secondo un malefico paradosso, più l’utente governa la sua vita privata nell’infosfera (sfruttando al massimo gli oggetti tecnologici e i software che la ottimizzano sul piano dell’efficienza) più si reifica a sua volta in “oggetto” fornitore di dati, viene classificato, indirizzato, ed arricchisce i fini del potere che a lui sono estranei. L’infosfera prospetta la versione contemporanea dell’alienazione e anche della dialettica servo/padrone, che in altro “ambiente” venne esplorata da Hegel.
E’ difficile pensare che l’infosfera sia reversibile. Per questo i filosofi appaiono in ritardo: essi si ostinano ad analizzare la vita biologica e quella sociale come se fossero separabili dall’ibridazione tecnologica (e semmai criticano isolatamente quest’ultima). Una nuova fondazione della filosofia deve piuttosto ripartire dai quesiti aristotelici, collocandoli quindi nell’habitat umano allargato. Occorre dunque porsi interrogativi su uno sfondo mutato: quali attributi deve possedere una condotta per definirsi giusta, o una vita per essere qualificata buona, dentro l’infosfera? In che modo una persona può conservare l’autonomia e la libertà dentro l’infosfera? Quali sono i presupposti di una società democratica, nell’infosfera?
Queste domande non hanno soltanto valore teorico, al contrario. Così come esiste un ambiente desiderabile (che varia, a seconda delle ideologie), egualmente esiste un’infosfera desiderabile, che non necessariamente coincide con quella attuale. Oggi, l’infosfera risponde a un’organizzazione finalizzata in senso commerciale e, per giunta, a una struttura economica concentrata nelle mani di pochissimi soggetti, che ne stanno orientando la dimensione politica. La querelle sulle fake news su Facebook, o della sottrazione di dati al colosso del web, riguarda solo la punta dell’iceberg. Focalizzarsi sulle “distorsioni” dà per scontato che il sistema da ripristinare preveda: a) l’acquisizione delle informazioni politiche per via di messaggi b) targettizzati c) banalizzati d) che utilizzano dati acquisiti per ragioni commerciali da un monopolista e) ai quali i soggetti coincidenti con quei dati non hanno accesso.
In fondo, le prime regole politiche da utilizzare non sono difformi da quelle pre-era digitale. Si tratta solo di riscrivere le più essenziali (come la separazione dei poteri o la frammentazione dei monopoli) su misura di quell’ambiente modificato che è l’infosfera.
Sia a livello sociale che individuale, l’infosfera manifesta direzioni tendenziali, molte delle quali determinate dalla sua inscindibile manifestazione: gli schermi.
Quel che distingue gli abitanti dell’infosfera dagli uomini del passato è che essi passano la maggior parte della giornata guardando uno schermo. Ovviamente vi è una distinzione per classi sociali ma non così marcata come nel passato perché anche chi svolge un lavoro manuale, cessato l’orario, si appropria non di tempo libero ma di uno schermo (sempre più non è l’uso dello schermo a far parte della categoria del tempo libero, come era nell’epoca della televisione, ma il tempo libero a inquadrarsi nella più ampia categoria degli schermi).
Il flusso di informazioni nel quale siamo immersi (come processori e come processati) sottopone l’infosfera a un’ininterrotta upgradizzazione. Sarebbe in errore chi pensasse che grazie a ciò si moltiplichino le opportunità e le occasioni, e che la coscienza individuale galleggi in una turbinante mutevolezza. L’equilibrio dell’infosfera poggia su una certa prevedibilità e misurabilità delle condotte e pertanto cerca di inquadrare ogni individuo in alcune categorie, sensibilizzandolo poi a rimanervi (basti pensare alla tracciabilità delle navigazioni in rete in base alla quale viene stilata una lista di preferenze probabili dell’utente personalizzando le sue interfacce in modo da consolidarle).
Non è raro che le apparenti potenzialità dell’infosfera riguardo l’estensione dello spazio e del tempo producano un risultato molto conservatore sui comportamenti. Chi viaggia ha una quota ridotta di attenzione per il luogo di transito e il luogo di arrivo e per le situazioni che questi ospitano e generano: egli può infatti portare con sé gli schermi che consentono di replicare le abitudini domestiche, che si tratti di vedere puntualmente la serie televisiva, di mantenersi in reciproca reperibilità con amici e conoscenti, di ascoltare la musica prediletta, di pianificare le azioni per il ritorno. E’ in effetti solo a partire dalla portabilità di se stessi (e quindi dalla tecnologia mobile) che possiamo parlare compiutamente di infosfera nella sua proprietà di ambiente segnato dall’eliminazione delle fratture (fra tempo libero e lavoro, tra presente e futuro, tra presente e passato, tra interno ed esterno, tra reale e virtuale).
Il filtraggio dello schermo sposta il nucleo della nostra vita dall’esperienza diretta agli indicatori (correttamente si è parlato di cultura del proxy): non solo facciamo precedere le nostre esperienze dai dati (anche sotto forma di giudizi, ad esempio le recensioni su TripAdvisor) che le selezionano ma spesso ci accontentiamo di conoscere le loro forme di misurazione e rinunciamo alla conoscenza stessa. La facilità con cui la falsificazione delle notizie ottiene successo è legata alla nostra diminuita capacità di passare la notizia falsificata al vaglio delle nostre esperienze direttamente conoscitive. A questa carenza si aggiunge il fatto che l’infosfera indirizza verso la quantità (di schermi, di dati), se possibile fruita contemporaneamente attraverso il multitasking, e predilige per questa via l’orizzontalità (l’osservazione superficiale di più cose) alla verticalità (l’approfondimento della cose, prese separatamente). Ne è un segnale significativo la crescente difficoltà di leggere testi complessi.
La vita nell’infosfera è diversa per ciascuno degli aspetti dell’esistenza che consideriamo essenziali. L’amicizia si declina in forme diverse, la partecipazione democratica anche, il principio di competenza viene seriamente messo in crisi. E’ impensabile restituire tali concetti a una dimensione differente dall’infosfera ma è del tutto praticabile riformarli, dentro l’infosfera, secondo una dinamica che non è quella attualmente pre-assegnata. In questa prima fase dell’infosfera, non viviamo facendo quello che abbiamo scelto nei limiti in cui è realizzabile, ma viviamo facendo quello che si può realizzare, per il solo fatto che sia tecnicamente realizzabile e come tale suggerito dalla tecnologia.
Perché l’infosfera non sopprima l’autodeterminazione degli uomini sulla terra è necessario, per prima cosa, apprenderla, per poi coglierne i punti critici e infine adattarla. Non è quello che accade oggi. Non è nemmeno quello che si insegna a scuola dove (ed è particolarmente ridicolo) il concetto di infosfera non entra in alcun modo nella didattica, e i ragazzi vengono mandati allo sbaraglio e senza consapevolezze in un mondo che sempre meno somiglia a quello descritto sui libri di testo.
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