Le parole crociate insegnano come resistere alla connessione

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La rivoluzione digitale ha messo in crisi o mandato in soffitta una serie di strumenti analogici le cui funzioni sono divenute superflue oppure sono facilmente rese disponibili e concentrate su un unico dispositivo: mappe, agende, sveglie, macchine fotografiche, quotidiani, comuni telefoni e molto altro.

C’è qualcosa che tenacemente resiste: i cruciverba. L’editoria di settore è florida come e più di prima.

Il primo cruciverba fu pubblicato, in una forma ancora piuttosto rozza e qualche errore, nel 1913: quando pensiamo a tutto ciò che è venuto fuori nel XX secolo dovremmo menzionare anche quello. Non mancarono, anche per l’enigmistica, preoccupazioni di destabilizzazione sociale, come accade per le tecnologie. Nel 1924 il Times di Londra vaticinò che avrebbe ucciso le conversazioni domestiche e il presidente della British Optical Association raccomandò moderazione, per evitare le emicranie che lo stress oculare avrebbe scatenato per via dei caratteri piccoli. Quando nel 1925 sulla Domenica del Corriere apparve il primo cruciverba pubblicato in Italia Achille Campanile ipotizzò che il loro avvento fosse legato alla disoccupazione, che rischiava di atrofizzare un cervello che non si allenasse in modo alternativo. Il 23 gennaio 1932 nacque la Settimana Enigmistica: non casualmente si trattava di una data palindroma, che rimane immutata anche se la si legge da destra verso sinistra. Il settimanale, che si presenta sopra la testata come “la rivista che vanta innumerevoli tentativi di imitazione” (piacevolmente desueta, oggi, la mancata quantificazione numerica, che del resto sarebbe soggetta a infiniti aggiornamenti) ha saltato solo due numeri, quando la redazione venne colpita dai bombardamenti e in pieno tumulto della Liberazione, il 28 aprile 1945. Non si schierò mai politicamente, neppure con il fascismo, che però la riteneva un prezioso diversivo per i soldati impegnati nelle campagne militari. Tanto fu bipartisan che Togliatti, senza farsi notare, si cimentava con le parole crociate quando si annoiava a un congresso. I cruciverba italiani ebbero un maestro indiscusso e geniale nella loro evoluzione e complicazione, Piero Bartezzaghi, padre dell’opinionista culturale (ma anche enigmista e autore del miglior libro sul tema) Stefano. La Settimana Enigmistica si rifiuta di diffondere dati sulle vendite: qualche anno fa si ipotizzò che superassero il milione e mezzo. Quel che è certo è che si mantengono stabilmente ben oltre le 500.000 copie, che la società non ha mai fatto ricorso al finanziamento bancario né a quello pubblico e che accantona ogni anno milioni di profitti. Diverse altre testate resistono sul mercato e non sono pochi i magazine che propongono il loro cruciverba.

Non c’è dubbio che attingendo a Google anche il cruciverba più ostico sarebbe risolto in quattro e quattr’otto (salvo quelli costruiti alla maniera del poliedrico scrittore Georges Perec che formulava quesiti del tipo: vorrebbe essere sempre in vena, la cui risposta corretta è Nosferatu). Cosa ci vorrebbe a compilare il 38 orizzontale che esige il nome di Toscanini? O il 17 verticale che ci chiede conto del mare più a nord? Eppure nessuno lo fa. Tutti si rendono conto che sarebbe stupido. Come dire: sarebbe finito il gioco.

Il punto è proprio questo. Intanto, il gioco non è finito anche se poteva finire. Esiste una regola non scritta alla base delle nuove tecnologie, al cui implacabile rigore siamo passivamente rassegnati: se una funzione è disponibile deve essere utilizzata, per il solo fatto che è disponibile. Molte trasformazioni prodotte dallo smartphone, mediante le app, non corrispondevano obiettivamente a un’esigenza ineludibile, a un reale problema: persino alcuni risparmi di tempo non necessitavano di essere risparmiati (e anzi quel tempo era un elemento dell’esperienza, che accelerata diventava improvvisamente spoglia).

Escludendo il caso in cui uno va alla pagina al fondo e copia le soluzioni (che ovviamente nega il gioco alla radice: sarebbe come comprare un cubo di Rubik già nelle posizioni finali), risolvere le parole crociate significa fare conto sulle proprie abilità di partenza (certo, l’allenamento familiarizza con certi codici, ma non ci si può preparare come si farebbe per superare il test di accesso a Medicina). Rinforzare quelle abilità nel momento del cruciverba avrebbe, prima di Internet, richiesto la disponibilità di una quantità di volumi irragionevole. Oggi sarebbe invece possibile con un dispositivo a portata (lo so che alcune definizioni giocano su un’ambiguità non identificabile da un dizionario, ma un buon navigatore della Rete saprebbe farla affiorare). E invece la prima lezione che le parole crociate oggi impartiscono è: non è vero che se abbiamo la possibilità di ricevere un’informazione velocemente dobbiamo farlo per forza.

Attenzione: chi è che non ha mai chiesto alla moglie, alla madre, al fratello qualcosa come: scusa, sfocia nel Po vicino a Valenza, sei lettere? Ma questo non è mai stato considerato scorretto. Che il parente o il vicino di ombrellone possedessero quella forma di conoscenza rientrava nella stessa alea che grava sulla conoscenza nostra. Perbacco, un altro dato interessante: ottenere un’informazione da una persona umana invece che da un software non ha lo stesso valore!

 

Sarebbe ben strano che i cruciverba fossero realmente un’eccezione assoluta. Dovremmo vederla così: noi giochiamo tutti i giorni al gioco della vita, e farlo attingendo al supporto digitale, invece che alle nostre forze o alla collaborazione di un umano, a volte inficia quel gioco. Anche il cervello fa parte del gioco, e modifica nel tempo la sua configurazione neurale a seconda che lo impieghiamo in un modo piuttosto che in un altro. L’ippocampo, tanto sviluppato nei tassisti che devono districarsi nel traffico, perde alcune attitudini se uno si serve sempre del satellitare. Se non troviamo normale saltare, in certe occasioni, la mediazione del dispositivo è solo perché è meno evidente la distorsione che ne deriva rispetto ai cruciverba. Eppure, con tutto il rispetto per l’enigmistica, ci consegniamo egualmente al dispositivo in situazioni che influenzano in modo assai più decisivo il nostro benessere e la nostra capacità di comprensione. Cosa deve succedere per capirlo? Che ce lo spieghi il 34 orizzontale?

Di |2023-08-04T10:43:49+01:009 Novembre 2018|Web philosophy|

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