La politica che riguarda tutti noi. Se avete la pazienza di leggere fino in fondo troverete un test da affrontare.
Da quando dicono che sono scomparse la destra e la sinistra c’è un dubbio che mi affligge
e che proprio non riesco a risolvere: ma come diavolo faranno i nostri deputati
(e anche quelli degli altri paesi, perché è capitato a tutti di svegliarsi una mattina e scoprire che la destra e la sinistra erano diventati roba antiquata) a votare sempre allo stesso modo, cioè sempre dalla stessa parte?
Voglio dire, prima era semplice trovare una buona ragione. Per ogni tema si trovava sempre una soluzione di destra antitetica a una di sinistra: facciamo questa legge che rinforza l’ordine (destra), manco per scherzo, sarebbe repressiva (sinistra); introduciamo quest’imposta per far risparmiare le imprese (destra), non se ne parla neppure, aumentiamo invece le tasse per redistribuire i soldi agli operai (sinistra); chiariamo bene che le donne devono solo ringraziare se si trovano un bambino in pancia e anzi sperare che si tratti di una coppia di gemelli, maschi possibilmente (destra), guardate che il corpo è delle donne e devono decidere loro (sinistra). E così via. A un’idea gerarchica della società se ne contrapponeva una egualitaria. A una liberista una statalista. E così via. La destra e la sinistra riflettevano progetti sociali radicalmente avversi e veniva naturale che gli schieramenti rimanessero compatti.
Il medesimo risultato, naturalmente, si otteneva quando i partiti erano formati per interessi. La destra e la sinistra contenevano la divisione delle classi ma è difficile dire se si trattasse di un effetto o di una causa. Un partito di interessi, invece, dichiara che vuole perorare il vantaggio di una determinata categoria, a prescindere dal fatto che questo sia utile per tutti (in Italia c’era una volta il partito dei pensionati. Ma sino a poco fa la Lega voleva avvantaggiare i settentrionali a scapito dei meridionali. D’accordo, non c’era concordia sul fatto che i meridionali puzzassero, anche. Alcuni leghisti, al contrario, li trovavano gradevoli, e si indebitavano per fare le vacanze a Capri, oppure a Taormina. Ma nessun leghista metteva in dubbio che la grana dovesse rimanere al nord, a costo di spaccare l’Italia: e non avevano nessun problema nell’erigere ciò a fondamento della loro azione pubblica).
La questione diventa più complicata quando tutte le forze politiche chiariscono che il loro obiettivo è fare il bene dei cittadini. Certo, su questa base si può trovare un’intesa negando alcuni diritti a coloro che non sono cittadini secondo il criterio della nascita, ma è un po’ poco: si tratterà, a essere generosi, dell’uno per cento dei provvedimenti politici che arrivano in discussione. Se devi ritirare su il ponte di Genova non è che ti cambia che nei carrugi ci siano degli immigrati o dei liguri di sesta generazione. Come fare allora a trovarsi sempre d’accordo?
Un sistema può essere quello di imitare le società commerciali. Le aziende sono in concorrenza tra loro, punto. Non è che a chi lavora alla Wolkswagen venga mai il dubbio che forse dovrebbe ammettere, con un cliente, che la Passat Variant ha un portabagagli meno capiente della Volvo V60. Se una società fa affari ci guadagnano tutti quelli che ne fanno parte, poche storie. Se alla Tim telefona qualcuno che si lamenta perché lo hanno fregato sulla tariffa lo prende in carico al call center un tizio che ha il compito di ammansirlo (un tempo lo avrebbe mandato a cagare, però le nuove teorie di management esigono che un po’ gli si dia ragione). Nelle aziende investono persino risorse nel team building per migliorare la compattezza. In effetti, Forza Italia era più o meno apertamente un’azienda (e faceva anche parecchio team building).
I partiti attuali però respingerebbero sdegnosamente la definizione di azienda. Anzi, rifiutano pure quella di partito (o si accingono a rifiutarla). E però, qual è il criterio unificante del loro agire? Come è possibile che tutte le volte i rappresentanti la pensino proprio allo stesso modo a proposito di ciò che è più conveniente per il cittadino?
Per comodità, ragioniamo un attimo come se non si trattasse di una nazione ma di un palazzo, e quindi non di cittadini ma di condomini. Non essendoci per il vero mai stata una visione di destra e una di sinistra nella gestione di un fabbricato, le maggioranze si formano sulla base di convergenze mutevoli. Io e quello del quarto piano saremo d’accordo sull’installazione dell’ascensore, magari anche sulla ristrutturazione della facciata. Ma non pure sulla destinazione del pezzo di cortile, dai! O sul canone da chiedere per l’affitto dell’ex locale portineria. Cioè, sarebbe strano. Vero, potremmo avere formato un’associazione, con altri condomini, un’associazione “Per un palazzo più bello”. Mica lo vieta la legge, anzi la libertà di associazione è promossa a tutti i livelli. Però non rimane chiaro cosa rende un palazzo più bello. Quindi, se noi associati votiamo in assemblea sempre allo stesso modo, perché così ci impone lo statuto dell’associazione (sorvoliamo sul fatto che questo la legge non lo consentirebbe), gli altri condomini ragionevolmente potrebbero innervosirsi e dire che la cosa non gli quadra.
Ora, per limitarci all’Italia, che qui ci interessa, è proprio come se fossimo nel condominio e le associazioni “Per un palazzo più bello”, e con uno statuto ancora più severo: non basta che i deputati, o gli altri rappresentanti politici, votino tutti allo stesso modo ma devono anche pensarla realmente tutti allo stesso modo. Già è difficile giustificare l’obbligo di voto. D’accordo, si potrebbe opporre al dissenziente: guarda che hai firmato un mandato con gli elettori. Ma quello, sempre più spesso, potrebbe opporre: appunto, mi hanno dato il mandato per fare X, perché adesso dovrei fare Y? E dall’altra parte (con irritazione): guarda che abbiamo firmato un contratto per fare Y. Eh sì, perché c’è anche questa complicazione del contratto con un avversario (non è una novità assoluta, benché non si chiamasse contratto). Però, sia il mandato che il contratto politico, non sono proprio contratti di appalto. Non c’è scritto, tipo, che il pavimento deve avere le piastrelle in cotto e quindi se ci piazzi il gres porcellanato sei dalla parte del torto, hai violato il contratto. Ogni giorno accadono fatti che scompaginano quel che avevi previsto di fare, o ne vengono fuori altri che non c’entrano niente con quelli scritti nel mandato o nel contratto. Come fare a interpretarli? Per evitare dubbi decide il capo, e gli altri si devono adeguare, se no devono trovarsi un altro lavoro. Però non è elegante raccontarla così. Non piace ai sottoposti e neppure al capo. E somiglia troppo al funzionamento di un’azienda.
Così, si cerca di creare una nuova dicotomia al post di destra e sinistra, più facile da leggere. Ad esempio: da una parte c’è il partito degli Onesti e dall’altra quello dei Disonesti. O anche: da una parte c’è il partito del Cambiamento e dall’altra quello dell’Immobilismo. Oppure: da una parte c’è il partito degli Incompetenti e dall’altra il partito dei Competenti. Questo sì che giustifica il voto obbligato! Per forza la soluzione giusta è da una parte sola! Chi potrebbe votare o (se si tratta di un giornale) lodare la proposta dei Disonesti, se non fosse Disonesto a sua volta? Chi, d’altronde, potrebbe entusiasmarsi per una legge fatta dagli Incompetenti, se non uno che è privo di ogni cognizione in quella materia?
Sì, è una modalità che funziona, e che però presenta due gravi difetti.
Il primo è che, incredibilmente, non si sono ancora riusciti a scoprire i sistemi con cui i Disonesti, gli Incompetenti e gli Immobilisti vengono arruolati. Nessuna gola profonda lo ha ancora rivelato. Per forza (altrimenti tutta la teoria andrebbe a mare) ci deve essere un modo (una mail, una lettera nella cassetta della posta, un sms) con cui un Disonesto o un Immobilista riceve la proposta di ingrossare le fila di questo riprovevole gruppo. E a quanto pare, la capacità di selezionare il nuovo affiliato è superiore all’esattezza di un algoritmo (o forse si affida a un algoritmo), perché mai è accaduto che qualcuno confessasse di aver subito un simile avvicinamento. Eppure per fare delle riunioni in cui decidono come agire per promuovere la Disonestà oppure, magari in buona fede ma da bravi Incompetenti, sparano una corbelleria dietro l’altra, si dovranno pure prima essere messi d’accordo in qualche modo, o fatti incontrare in funzione di un criterio.
Il secondo è che se è ancora possibile tollerare chi manifesta un’ideologia diversa, perché è pur sempre un individuo dotato di un pensiero rispettabile quanto il nostro sino a prova contraria, è invece del tutto giustificato reprimere chi pensa in un modo solo perché è Disonesto, Immobilista o Incompetente. Altro che politica rasserenata dalla scomparsa delle ideologie. Quella di oggi, verso il dissenso (interno o esterno che sia), è molto, molto più intollerante.
Devo quindi ammettere che la mia opinione è che i disonesti non hanno un partito, e nemmeno gli incompetenti, e neppure gli immobilisti. Vero, ci sono alcune circostanze che rendono più probabile la presenza di alcune categorie da una parte piuttosto che da un’altra (ma di queste ci occuperemo un’altra volta) e però è materialmente impossibile che ogni decisione imponga, per difendere l’onestà o la competenza o il cambiamento, che si voti sempre tutti nello stesso modo.
Siccome accade, dobbiamo trarre la seguente conclusione: coloro che (nella politica e nell’informazione) così si regolano non sono uomini liberi ma servi. Non servi del cittadino. Servi di altri uomini, e dunque del potere.
E però se loro ne traggono un tornaconto, il dilemma più inquietante è: ma i cittadini, appunto? Cosa gliene viene in tasca? Anche loro votano. E, grazie a Internet, più facilmente si esprimono. La sensazione è che a loro volta siano difficili da schiodare. Difendere la propria parte, ad ogni costo. È un comportamento da tifoserie di calcio: ma nel calcio è normale che si agisca secondo una “fede” (anche nella religione in effetti. Forse avrei dovuto indicare prima la religione). Però il calcio non ha la stessa importanza per la vita, e poi non obnubila del tutto il senso critico, e anzi la principale passione dei tifosi è sputare veleno contro i loro beniamini (ecco perché l’esempio del calcio mi veniva più chiarificatore: cioè, persino un ultras non è così accecato da cancellare i torti di quello per cui parteggia). Insomma, è dalle opinioni politiche, e non calcistiche, che deduciamo se una persona comune è un servo o un uomo libero. Più precisamente, dal modo in cui queste opinioni politiche reggono alla prova dei fatti.
Vi propongo dunque di provare seriamente a cimentarvi con questo breve test, che chiamerò: “Scopri se sei un servo o un uomo libero” mettendo le risposte per iscritto, non per mandarle a qualcuno ma per potervi, voi, focalizzare seriamente sui suoi esiti. Ecco le domande:
1) Quante volte, negli ultimi trenta giorni, ho criticato la parte politica che preferisco?
2) Quali sono tre cose che non accetterei e mi farebbero perdere la fiducia nella mia parte politica? Ora che le ho scritte e le rileggo, credo davvero che siano quelle corrette?
3) Quali sono le tre cose che, in questi giorni, ho apprezzato nell’agire della parte politica avversaria?
4) Negli ultimi sei mesi cosa ho appreso sulla mia parte politica, che le fonti che consulto abitualmente non avevano detto o almeno non evidenziato, oppure raccontato in modo non obiettivo?
5) Quando mi sono veramente infuriato per qualcosa che ha fatto la mia parte politica, tanto che stavo per toglierle ogni credito? Cosa mi ha riconciliato?
6) Quante volte ho controllato su una fonte, opposta a quelle ufficiali del partito che seguo, la validità di un ragionamento o la correttezza di un’informazione?
7) Qual è stata l’ultima volta in cui ho dato ragione a qualcuno che sosteneva, in un campo specifico, un argomento contrario a quello sostenuto dal mio partito?
Come vedete, non c’è un punteggio per ogni risposta.
Perché, se non siete irrimediabilmente diventati un servo, siete assolutamente in grado di capire se le risposte che avete dato stanno lì a indicarvi che siete fortunatamente un uomo libero oppure un servo, sì, ma ancora in grado di riappropriarsi della sua libertà.
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